Lo scorso 24 settembre il Consiglio dei Ministri ha votato all’unanimità, e senza alcuna umanità, il Decreto Salvini in materia di sicurezza e immigrazione.
Un documento che dà forma ai nostri peggiori incubi, trasformando in legge dello Stato ciò che chiamiamo “violazione dei diritti umani”.
Come in una specie di inquietante rievocazione storica, con questo testo il governo giallo-verde si dota di un’ulteriore arma per accanirsi contro gli ultimi.
Niente più permesso di soggiorno per motivi umanitari, niente più cittadinanza italiana per lo straniero che commette un reato e chi chiede di poter esercitare il proprio diritto d’asilo rischia fino 6 mesi di detenzione, di vera e propria privazione della libertà, in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (ex CIE), senza aver commesso alcun reato.
Ma questo non interessa a Matteo Salvini e alla sua squadra che ha pensato bene di rimpinzare il Fondo per i Rimpatri con 3,5 milioni di euro in tre anni. L’obiettivo è quello di rispedire gli uomini e le donne che fuggono dalle guerre, dalle violenze e dalle torture delle carceri libiche esattamente al punto di partenza.
Al di là della propaganda, è evidente la perfetta continuità che Salvini ha con le politiche dei governi neoliberali tecnici e di centro-sinistra, che negli anni passati hanno contribuito a saldare sempre più stretto il nesso tra capitalismo, patriarcato e razzismo.
Non abbiamo dimenticato che a gettare le basi di questo abominio giuridico sono state le trattative condotte dal governo a guida Partito Democratico che hanno portato al Decreto Minniti e agli accordi con la Libia.
Con la scusa della lotta al terrorismo e del contrasto al traffico di esseri umani, i governi che si sono susseguiti negli ultimi anni hanno continuato ad alzare muri, finanziando la costruzione di centri di detenzione in Libia e condannando a morte migliaia di persone nelle acque del Mediterraneo.
Perché un movimento che si occupa di contrastare la violenza sulle donne dovrebbe interessarsi al Decreto Salvini sull’immigrazione, si chiederà qualcuno?
Ci sono due ordini di motivi: il primo riguarda la vita quotidiana delle donne che migrano, costrette a subire prevaricazioni e violenze in modo esponenziale rispetto agli uomini; nel paese d’origine, durante il viaggio e nel paese in cui arrivano/sono costrette a fermarsi.
Il secondo motivo ha una dimensione politica più ampia: non c’è femminismo senza antirazzismo, tanto più nel mondo di oggi. In una quotidianità in cui i nostri corpi vengono strumentalizzati per costruire la paura dell’uomo nero e attribuire il ruolo di paladini ai “maschi italici”, in una retorica che descrive i nostri uteri come garanzia della prosecuzione
della “razza”, essere femministe significa anche e soprattutto rompere questi meccanismi, aprendo le porte, o meglio i porti, ad ogni forma di diversità e contaminazione, consapevoli che il patriarcato esiste ovunque e che ovunque le donne stanno lottando per sconfiggerlo.
Sin dalla sua nascita Non una di Meno si interroga e agisce intorno al nodo del razzismo. Lo abbiamo scritto nero su bianco nel Piano Nazionale contro la Violenza di Genere, lo abbiamo gridato a Ventimiglia insieme al progetto 20K, a Macerata, a Catania a pochi metri dalla Diciotti e ancora, pochi giorni fa, di fronte alla vergognosa notizia dell’arresto del sindaco di Riace Domenico Lucano, colpevole aver costruito uno dei pochissimi modelli veri di accoglienza in questo Paese.
Ora abbiamo l’esigenza di discutere di tutto questo con la città in cui viviamo e in cui tentiamo di costruire un’alternativa ogni giorno. Sentiamo l’urgenza di lottare contro la violenza dello Stato, la violenza istituzionale che si abbatte sui più deboli dietro la maschera della “sicurezza”.
Le ingiustizie, le restrizioni, le politiche repressive e securitarie non ci fanno sentire più sicure e non lasceremo che i nostri corpi e le nostre vite vengano strumentalizzate per mettere a punto un sistema di repressione e controllo sociale.
Sappiamo che nessuno/a sceglie dove nascere, ma che chiunque deve essere libero/a di decidere dove vivere, libero/a di muoversi e di restare.
Facciamo sentire il nostro dissenso contro il Decreto Salvini, contro la violenza dei confini, contro il razzismo del governo giallo-verde e costruiamo insieme le prossime azioni per contrastare la deriva xenofoba di questo Paese.
Invitiamo tutte le donne e tutti gli uomini, le associazioni e le realtà locali a partecipare all’assemblea pubblica che si terrà Venerdì 12 Ottobre alla Casa delle Donne in Piazzetta Monserrato 1 ad Alessandria alle 20.30.