Dopo la marea transfemminista che sabato 30 marzo ha riempito le strade e le piazze di Verona credevamo che il Congresso Mondiale delle Famiglie fosse archiviato e sepolto. A riesumarlo ci hanno pensato i politici alessandrini che pur di evitare il tema spinoso del bilancio sono pronti davvero a tutto. Il consiglio comunale e la giunta di Alessandria non ci hanno mai rappresentato né mai lo faranno. Lo sappiamo da sempre e ne abbiamo avuto l’ennesima conferma ieri con l’approvazione dell’ordine del giorno in cui si chiede al sindaco di «esprimere a tutti i partecipanti al Congresso Mondiale delle Famiglie la solidarietà della città di Alessandria per gli attacchi ricevuti».
Quali sarebbero questi fantomatici «attacchi rivolti ai partecipanti al congresso tendenti a limitare la libertà di espressione delle idee», citati nell’ordine del giorno?! Ad essere sotto attacco sono i diritti delle donne e delle persone LGBTQI, anche a causa delle tesi propagandate dal Congresso di Verona. Se il sindaco, la giunta e i consiglieri ci tengono ad esprimere solidarietà verso sessisti, omofobi e fascisti vari lo facessero a titolo personale, non a nome di tutta la città! Sicuramente non possono farlo a nome nostro né delle tante persone che insieme a noi sono venute a manifestare sabato 30 marzo. Quel giorno, in più di 100.000, abbiamo ribadito la nostra ferma opposizione al Congresso Mondiale delle Famiglie, rendendo Verona città transfemminista. Lo abbiamo fatto perché sappiamo bene cosa si cela dietro al rovesciamento della realtà operato dagli organizzatori del Congresso e, in seconda battuta, dai consiglieri comunali di Alessandria. La loro retorica familista e pro-vita nasconde, neanche troppo bene, la condanna e l’attacco ad aborto, contraccezione, divorzio, libertà di scelta e autodeterminazione delle donne, persone LGBTQI, in particolare famiglie omogenitoriali, educazione sessuale e alle differenze nelle scuole.
Le tesi esposte al Congresso Mondiale delle Famiglie non sono semplici idee ma veri e propri discorsi d’odio che incitano alla discriminazione e tentano di restaurare un opprimente sistema di potere eteropatriarcale ed eterosessista. Come ci insegna il filosofo Karl Popper, tutelare una società tollerante significa non tollerare gli intolleranti. Chi sostiene che l’aborto sia un atto di cannibalismo e l’omosessualità una malattia da curare, che non avere figli o averli avuti tardi e non averli allattati provoca il cancro al seno (tutte frasi pronunciate da alcuni relatori del Congresso), non solo lede la dignità delle persone ma ne mette anche a rischio i diritti e l’esistenza stessa nel momento in cui quelle affermazioni si traducono in leggi dello stato, vero obiettivo dei congressisti di Verona.
Durante le ultime sedute del consiglio comunale abbiamo sentito proclamare dai sostenitori dell’ordine del giorno e della cosiddetta famiglia “naturale” slogan fascisti come «Dio, Patria, Famiglia» e «credere, obbedire, combattere». Simili frasi ci indignano profondamente e rafforzano la nostra convinzione che il movimento transfemminista globale sia oggi un argine imprescindibile al fascismo dilagante.
L’approvazione di questo ordine del giorno rappresenta inoltre il palese contrappeso e contrappasso politico voluto da Lega, Fratelli d’Italia e dal consigliere Emanuele Locci rispetto al patrocinio che il sindaco ha dato all’Alessandria Pride. I contenuti e i valori espressi dal Pride sono infatti palesemente in netta contrapposizione rispetto a quelli del Congresso Mondiale delle Famiglie.
Questa apparente schizofrenia dell’amministrazione non ci stupisce più di tanto dal momento che sia il sindaco sia il capogruppo alla Camera della Lega Riccardo Molinari hanno più volte ribadito che il patrocinio è stato concesso non tanto per una condivisione dei contenuti del Pride quanto per «porre dei limiti ed evitare che si trasformi in una manifestazione che urta le sensibilità altrui». Alla faccia della libertà di espressione che sostengono di difendere!
Non Una Di Meno Alessandria ha sottoscritto con convinzione il documento politico promosso dagli organizzatori dell’Alessandria Pride a cui parteciperemo in maniera favolosamente irriverente, colorata e indecorosa. Non sono certo Cuttica di Revigliasco né Molinari a poterci dire con quali modalità e forme dobbiamo e possiamo manifestare.
In conclusione ribadiamo, per l’ennesima volta, un concetto molto semplice e chiaro a proposito di un altro tema affrontato in consiglio che ci riguarda: quelli che abbiamo appeso ai monumenti della città per promuovere la manifestazione dell’8 marzo non sono bavagli, bandane o «bandane boccali», come abbiamo sentito dire in un tripudio di delirante analfabetismo funzionale, ma pañuelos, ovvero il simbolo delle donne che lottano nel mondo, usato in Argentina prima dalle madri delle/dei desaparecidos, poi durante la campagna per l’aborto libero, sicuro e gratuito, e infine diventato emblema del rifiuto della violenza sistemica e strutturale sui corpi delle donne.
Basterebbe una rapida ricerca su internet per scoprirlo ma, come si suol dire, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, specialmente se, come nel caso dei consiglieri comunali, si è in cattiva fede.